Ripristino vitalizi in Regione, Consigliere regionali Araneo e Verri (M5s): “Non così, non ora, non per noi: la politica deve guardare prima agli ultimi, non proteggere sé stessa”. Di seguito la nota integrale.
Abbiamo scelto di uscire dall’ipocrisia e di guardare questo provvedimento con gli occhi più semplici e più onesti: quelli di chi non ha bisogno di tecnicismi per capire quando qualcosa non è giusto. Come nella fiaba del re nudo, anche oggi c’è chi finge di vedere un tessuto pregiato fatto di regole, coefficienti e montanti contributivi. Noi, invece, diciamo ciò che è evidente: la politica regionale, in questo passaggio, si è messa a nudo.
L’emendamento al DDL n. 50/2025 che introduce il sistema contributivo per consiglieri, assessori e presidenti viene presentato come misura “a invarianza di spesa”. Ma basta fermarsi un attimo, con onestà, per capire che non è così. Un terzo dei contributi è a carico degli eletti, due terzi a carico della Regione. E la Regione non ha risorse proprie: sono soldi pubblici, soldi della comunità, che oggi o domani graveranno comunque sui cittadini lucani, anche se iscritti a bilancio dal 2027.
Non vogliamo cedere al populismo né alla demagogia. Non diremo mai che la politica non ha costi. Sappiamo bene che l’attività politica comporta spese, responsabilità, rinunce. Ma sappiamo anche che la classe dirigente regionale percepisce un’indennità che consente di sostenere quei costi, un’indennità nettamente superiore al salario medio di lavoratrici e lavoratori che ogni giorno tengono in piedi questa regione.
Il punto non è solo il principio astratto del contributivo. Il punto è il tempo, il contesto e il messaggio. Questo emendamento viene introdotto a ridosso del Natale, infilato in un collegato alla legge di bilancio, tra decine di emendamenti, senza che la Giunta e il Presidente regionale abbiano avuto il coraggio di metterci la faccia. È una norma retroattiva che si estende fino a due legislature precedenti, e su cui sarebbe legittimo chiedere un serio approfondimento di legittimità. È una scelta che arriva nel momento peggiore possibile.
La Basilicata oggi è una regione che occupa gli ultimi posti in tutte le classifiche economiche e sociali. Ci sono circa 10.000 lavoratrici e lavoratori in cassa integrazione o a rischio occupazionale. Gli agricoltori sono allo stremo. Migliaia di giovani laureati lasciano la regione ogni anno. Decine di migliaia di persone rinunciano alle cure perché non possono permettersele. Ragazze e ragazzi aspettano per anni una chiamata per un lavoro da mille euro al mese. Questo è il paese reale.
E in questo contesto, la priorità della politica regionale diventa mettere in sicurezza il trattamento previdenziale della classe dirigente. È qui che si rompe qualcosa di profondo. Perché una classe dirigente degna di questo nome non pensa prima a sé stessa. Pensa agli ultimi. Li mette in sicurezza. Solo dopo, eventualmente, discute del resto.
Noi siamo i primi, siamo i privilegiati di questa regione. E proprio per questo non possiamo usare il potere che ci è stato affidato per proteggere la nostra condizione. Questa non è sobrietà nell’esercizio del potere. Questo è il potere che si ripiega su sé stesso.
Se si vuole discutere seriamente del tema, lo si faccia alla luce del sole, con un confronto pubblico vero, a partire dalla prossima legislatura, in altre forme e con altri tempi. Non ora, non così, non in questo modo. Andare avanti significherebbe certificare la rottura del patto con gli elettori e del patto sociale che tiene insieme una comunità.
Noi crediamo ancora che non esista diritto senza giustizia sociale. Che non esista buona politica senza responsabilità morale. E che una regione fragile come la Basilicata abbia bisogno di sobrietà vera, di scelte giuste e di una politica che sappia guardare chi è rimasto indietro. Per questo chiediamo il ritiro di questo emendamento. Per rispetto dei cittadini lucani. Per rispetto della politica stessa.
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